LE MEMORIE

La storia dei supporti per la memorizzazione di informazioni ha avuto inizio con un complesso sistema di schede perforate che permettevano di eseguire programmi e salvare dati per calcolatori elettromeccanici.
Il primo supporto di memoria esterna è stato la carta. I programmi e i dati erano registrati sotto forma di aree intatte (zero) o perforate (uno) su opportune schede di cartoncino, divise in ottanta colonne, del formato di un dollaro. Ma già intorno al 1950 è avvenuta una prima grande rivoluzione con l’introduzione dei nastri magnetici, già utilizzati per le applicazioni audio. Uno dei maggiori vincoli strutturali dei nastri era la lettura sequenziale che imponeva di scorrere meccanicamente il nastro stesso per raggiungere l’informazione desiderata, con evidente degrado delle prestazioni nell’accesso alle informazioni. Tuttora i nastri magnetici rappresentano comunque un’importante tecnologia per l’archiviazione delle informazioni, soprattutto nelle medie e grandi imprese.
La svolta tecnologica nella memorizzazione delle informazioni digitali su supporto esterno al computer è stato la creazione nel 1955 del cosiddetto Hard Disk Drive (HDD), costituito da una testina di lettura elettromagnetica, sospesa sopra un piatto di alluminio rotante ad alta velocità, in grado di leggere le informazioni che scorrevano rapidamente sotto la testina stessa. Il punto chiave della scoperta era che la testina non doveva essere a contatto con il piatto, che poteva ruotare ad alta velocità e consentire quindi di raggiungere l’informazione desiderata “quasi direttamente”, a differenza dei nastri. Il primo HDD prodotto è stato il 305 RAMAC (Random Access Method of Accounting and Control) dell’IBM, annunciato il 13 settembre del 1956. Tale dispositivo poteva memorizzare 5 milioni di caratteri (circa cinque megabyte, ma un “carattere” era costituito allora da sette bit) su 50 grandi dischi, ciascuno di 24 pollici (circa 60 cm) di diametro. La densità di registrazione era di circa 2000 bit/pollice2 (ossia 310 bit/cm2 ). I dispositivi a dischi attuali hanno densità dell’ordine di miliardi di bit per centimetro quadrato. La velocità di trasferimento dei dati era comunque già molto elevata: 8.800 byte/s.
Negli anni successivi la tecnologia è progressivamente migliorata, sia nella densità di registrazione, sia nella capacità di memorizzazione complessiva, sia infine nei tempi di accesso alle singole unità di registrazione (i cosiddetti record).
Nel 1973 l’IBM annunciava il Disk Drive modello 3340, che è oggi considerato il progenitore dei moderni dischi. Questo dispositivo era costituito da due dischi separati, uno permanente e uno rimovibile, ciascuno con una capacità di memorizzazione di 30 Mbyte.
I primi floppy disk fecero la loro comparsa nei primi anni ’70. Si trattava di grossi dischi (8” di diametro, circa 24 centimetri) di materiale plastico ricoperto da materiale magnetico. Con gli anni subirono un processo di riduzione delle dimensioni e vennero ricoperti da una custodia di plastica a protezione dai fattori esterni ambientali. Mentre il primo floppy conteneva appena 80 kilobyte, nella loro forma più avanzata (formato da 3,5 pollici) arrivano a contenere 1,44 megabyte.
Nato a metà degli anni ’80, il CD-ROM (acronimo di Compact Disc – read only memory, disco compatto – memoria di sola lettura) è un’evoluzione dei CD utilizzati in precedenza per conservare dati di formato testuale e grafico. Il formato originale di conservazione dei dati venne ideato da Sony e Philips, ma venne rivisto negli anni successivi. Ogni CD conteneva sino a 700 megabyte, equivalente di 486 floppy disk.
Fisicamente identici ai CD-ROM, i DVD fecero la loro comparsa a metà degli anni ’90. Utilizzando materiali differenti per il salvataggio dei dati e differenti tecniche di lettura e scrittura dei dati, contengono molte più informazioni rispetto ad un singolo CD. Con i suoi 4,7 gigabyte di capienza, equivale a circa 7 CD-ROM.
Il dispositivo di archiviazione di massa “plug-and-play” (letteralmente, attacca e utilizza), dotato di memoria Flash e interfaccia Universal Serial Bus (USB), le chiavette USB ebbero immediatamente un gran successo grazie alla loro portabilità e alla possibilità di scrivere e cancellare i dati a proprio piacimento. Oggi le chiavette USB arrivano a contenere sino a 125 gigabyte di dati, equivalenti a circa 140 DVD.
Negli ultimi anni i supporti per la conservazione dei dati si sono smaterializzati. Complice la sempre maggiore diffusione di Internet e la necessità di poter accedere ai propri file da qualunque luogo e in qualsiasi momento, l’archiviazione dati può avvenire su server di aziende da enti che ne garantiscono la protezione e li rendono disponibili a richiesta qualunque sia il device connesso in rete.
Sono sorti sempre più servizi di cloud storage: accedendo al proprio account di cloud storage si potranno consultare i file già presenti o crearne altri. Secondo alcuni calcoli, nel cloud risiederebbero sino a 1 exabyte di dati (1 trilione di byte, equivalente ad un 1 milione di terabyte), più o meno come 500mila hard disk da 2 terabyte; 8 milioni 192 mila cihavette USB da 125 gigabyte; 218 milioni circa di DVD e 9 milioni di miliardi di schede perforate.

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MEMORIA PRINCIPALE

I primi dispositivi di memoria erano interruttori elettromeccanici, o relè e tubi elettronici. Alla fine degli anni ’40, i primi computer con programmi memorizzati utilizzavano come memoria principale onde ultrasoniche in tubi di mercurio o cariche in speciali tubi elettronici. Questi ultimi erano la prima memoria ad accesso casuale (RAM). La RAM contiene celle di memoria a cui è possibile accedere direttamente per operazioni di lettura e scrittura, al contrario della memoria di accesso seriale, come il nastro magnetico, in cui è necessario accedere a ciascuna cella in sequenza fino a quando non viene individuata la cella richiesta.

MEMORIA A TAMBURO MAGNETICO

I tamburi magnetici, che avevano fissato testine di lettura / scrittura per ciascuna delle numerose tracce sulla superficie esterna di un cilindro rotante rivestito con un materiale ferromagnetico, furono usati sia per la memoria principale che ausiliaria negli anni ’50, sebbene il loro accesso ai dati fosse seriale. Il dispositivo è costituito da due parti separate: il tamburo e il blocco dei sensori. Il dispositivo nel suo complesso prevede che il tamburo, libero di ruotare indipendentemente dalla rotazione del cilindro, venga inserito nel blocco dei sensori.

MEMORIA A NUCLEO MAGNETICO

La più comune forma di memoria a nucleo magnetico era costitua da nuclei di ferrite sui quali venivano realizzati anelli  percorsi da fili che servivano a portare i segnali di gestione della memoria. Ogni anello memorizzava un singolo stato digitale, ogni griglia bidimensionale era accessibile in un solo ciclo di clock e permetteva la manipolazione di un singolo anello. Impilando in modo opportuno un certo numero di griglie si poteva ottenere la lettura o scrittura di una parola in un solo ciclo di clock.
Gli anelli magnetici basavano la loro capacità di memorizzare le informazioni sull’isteresi del materiale ferromagnetico. Solo l’anello indirizzato si trovava ad essere interessato da un campo magnetico sufficiente per modificare la polarità del campo magnetico.La corrente scorrendo nei fili induceva un campo elettromagnetico che combinandosi nell’anello ne alterava la polarità.

MEMORIA A SEMICONDUTTORE

La memoria a semiconduttori è una memoria informatica in cui le informazioni e i dati sono registrati mediante le tecnologie dei semiconduttori come: transistor, circuiti integrati e chip. La memoria a semiconduttori è composta da celle elementari, ognuna delle quali può contenere un’informazione ( bit ) sotto forma di carica elettrica di un condensatore, che compongono una matrice simile a una bacheca/lavagna digitale. Le memorie a semiconduttori sono prevalentemente delle memorie volatili (i dati sono mantenuti in memoria fin quando il dispositivo è alimentato dalla corrente elettrica, al momento dello spegnimento l’informazione viene perduta). Le memorie a semiconduttori, grazie alle loro caratteristiche, costituiscono uno dei principali componenti delle memoria centrale del computer

NASTRO MAGNETICO

Il nastro magnetico è un nastro composto da poliestere e ossido di ferro il quale è avvolto in una bobina, il tutto ha larghezza totale di pochi pollici. L’uso del nastro magnetico si è diffuso nel corso degli anni sesanta-settanta restando in uso fino agli anni duemila, la sua diffusione ha reso obsolete le precedenti metodologie di registrazione dei dati su schede perforate e nastro perforato. Il nastro magnetico consente di registrare e leggere i dati in forma elettromagnetica, pur occupando poco spazio; una bobina di nastro magnetico utilizzata come mainframe può contenere migliaia di metri di nastro e registrare 800/1600 bit per pollice.

DISCHI OTTICI

I dischi ottici come cd e compact disk memorizzano tramite l’utilizzo di un laser che incide la superficie metallica dei dischi attraverso dei solchi. Quando le informazioni devono essere lette il laser ripercorre la superficie del disco e a secondo degli angoli delle rifrazione della luce dei vari punti della superfice il lettore determina il dato corrispondente.

DISCHI MAGNETO-OTTICI

Un disco magneto-ottico è un supporto di memorizzazione introdotto alla fine degli anni ottanta che unisce le proprietà dei supporti ottici con quelle dei supporti magnetici. Anche se i dischi magneto-ottici ereditano molte proprietà dai supporti ottici questi non necessitano di particolari file system per funzionare, infatti questi vengono riconosciuti dal sistema operativo come Hard Disk e come tali sono riscrivibili.