MAURIZIO DÈCINA

Professore Emerito al Politecnico di Milano, Maurizio Dècina è stato professore di Telecomunicazioni della Facoltà di Ingegneria presso il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria. Il prof. Dècina è nato nel 1943 e si è laureato in Ingegneria elettronica all’Università di Roma nel 1966. Dopo i primi anni di lavoro alla Fondazione Ugo Bordoni ed alla SIP Direzione Generale nell’Area Nuove Tecniche, nel 1976 ha intrapreso la carriera accademica all’Università di Roma diventando ‘ordinario’ nel 1980.


Intervista

Buongiorno, professor Dècina. Grazie per aver accettato di incontrarci.
Voi vi trovate ora in una istituzione in cui si insegnano le tecnologie dell’informazione: il Politecnico di Milano. L’informazione nasce tipicamente dall’elettronica, come materia madre che permette l’elaborazione tecnica dell’informazione.
Storicamente l’elettronica di divide in tre branche: telecomunicazioni, controlli automatici, calcolatori. I controlli automatici hanno dato filiazione a due settori importanti: la bioingegneria e l’ingegneria gestionale.
Oggi la laurea in ingegneria gestionale sta attraversando un momento di grande successo; si tratta di un corso di studi che fornisce nozioni anche di economia, tecnologia e di altri saperi funzionali al lavoro in azienda. Tenete conto che oggi nel nostro paese c’è una grande richiesta di ingegneri dell’informazione, pari a quasi mezzo milione di unità. In effetti chi si laurea in ingegneria al Politecnico di Milano riceve generalmente molte offerte di lavoro, in particolare in questi tempi, in cui la tecnologia si sta sviluppando in molti settori talmente velocemente da richiedere una sempre maggiore presenza di esperti. Si stima che tra qualche decennio la richiesta di ingegneri sarà ancora più grande di quanto lo è oggi.
Chi è stato per lei e per il Politecnico di Milano il professor Francesco Carassa?
Francesco Carassa è stato “il maestro” per tutti noi che ci siamo occupati di telecomunicazioni, così come il professor Emanuele Biondi lo è stato per i controlli automatici e il professor Luigi Dadda per i calcolatori. Francesco Carassa è stato il grande iniziatore degli studi di telecomunicazioni nel nostro Paese: sognava di impiegare le frequenze radio a elevatissima capacità. Voi sapete che esiste l’hertz, che corrisponde ad un battito al secondo, il chilohertz, che corrisponde a mille battiti, il megahertz ad un milione, il gigahertz ad un miliardo e il terahertz a mille miliardi. Oggi siamo arrivati quasi al terahertz. Francesco Carassa invece, che era nato nel 1922, nella sua gioventù tendeva a usare le microwave, ovvero le microonde, cioè il gigahertz. Per fare questo ha avuto a sua volta un grande maestro, il maestro di tutti coloro che, nel nostro Paese, si sono occupati e si occupano di elettronica, il professor Francesco Vecchiacchi.
Il professor Vecchiacchi era un industriale: ai suoi tempi l’Italia era un Paese importante dal punto di vista dell’industria, al contrario di oggi. Carassa lavorò con Vecchiacchi alla Magneti Marelli. Quando nel 1955 Vecchiacchi morì, Francesco Carassa divenne direttore della ricerca della Magneti Marelli, ruolo che ricoprì fino al 1962.
Il ruolo della Magneti Marelli negli anni 50 fu fondamentale. La televisione era entrata in Italia nella prima metà degli anni 50. Nella seconda metà degli anni 50 c’era la necessità di studiare il funzionamento della televisione: c’è una torre che emette un segnale che viene ricevuto da tutti; però questa torre ha una estensione limitata: non è possibile che una sola torre possa trasmettere il segnale in tutta Italia, bisogna erigere tante torri quante sono le più importanti città italiane. E cosa fece Francesco Carassa? Usò le antenne radio, antenne a tromba con il riflettore parabolico, per realizzare una rete di ponti radio grande come tutta l’Italia. Dal 1955 al 1960 Marelli aveva realizzato per la Rai dei collegamenti RadioLink in microwave a 1 GHz, per permettere la diffusione del canale televisivo a tutto il Paese. Possiamo quindi affermare che Carassa favorì la rilevante crescita culturale dell’Italia, visto che la televisione è stata importantissima anche per l’alfabetizzazione di varie zone del nostro Paese.
Nel 1962 Carassa decise di lavorare all’Università. Proprio in quell’anno vinse la cattedra al Politecnico di Milano e cominciò a sognare di lavorare con frequenze più alte. All’epoca i satelliti usavano le frequenze più elevate, come 40 GHz, perché erano principalmente geostazionari, pertanto riuscivano a trasmettere bene con questo tipo di frequenze. Carassa collaborò al progetto del satellite italiano, Sirio, nel 1969. Impiegarono otto anni per lanciarlo in orbita geostazionaria, poiché pesava 398 kg. Essendo geostazionario, Sirio rimaneva fisso sullo zenit, ovvero girava in modo sincrono alla Terra. Venne utilizzato per fare esperimenti di misure, telefonia, meteorologia. Inizialmente copriva l’Europa e l’America, in seguito, negli ultimi due anni, venne cambiata la sua posizione in modo che coprisse l’Asia.
Verso la fine degli anni 70, il Politecnico si attrezzò con una stazione satellitare, che servì per gestire tutto il lavoro riguardante il satellite italiano Italsat, a cui Carassa dedicò molto tempo e molto impegno.
Carassa, uomo nato professionalmente nell’industria, portò tutto il suo sapere dentro l’Università e fondò il settore delle telecomunicazioni. È stato rettore del Politecnico nel periodo tra il 1969 e il 1972. È stato Presidente del Consiglio della European Space Agency. È stato uno dei padri del satellite Italsat. Lanciò due Consorzi dentro il Politecnico di Milano (il Consorzio è un ente finanziato dalle aziende che vive all’interno del Politecnico): Cefriel, dedicato alle applicazioni dell’Information & Communication Technology; e CoreCom, dedicato alle comunicazioni ottiche. In questo modo portò la tecnologia industriale all’interno del Politecnico. È stato Presidente dello CSELT (istituto di ricerca di Torino nel campo delle telecomunicazioni), Presidente dell’Italtel e di numerose altre istituzioni scientifiche.
Nel 1983 Carassa vinse il premio più prestigioso per quanto riguarda le telecomunicazioni, quello della Marconi International Fellowship, per i contributi dati nel campo delle comunicazioni via satellite.
Professor Dècina, potrebbe raccontarci qual è stato il suo percorso?
Io ho studiato ingegneria a Roma negli anni 60, mi sono laureato nel 1966 e ho cominciato a lavorare a Roma. In questo periodo avevo come maestro il professor Peroni, uno degli allievi e collaboratori di Vecchiacchi. Nel 1980, a 37 anni, ho vinto la cattedra all’Università di Roma e quindi mi sono recato negli Stati Uniti, presso i Bell Laboratories, per studiare il funzionamento delle macchine di commutazione, ovvero le macchine telefoniche. In seguito ho lavorato in Italtel, dove ho ricoperto il ruolo di Direttore della Ricerca Industriale. In quella posizione per quattro anni ho collaborato con altre mille persone per costruire un unico software che facesse girare le macchine. Nel 1986 Carassa ha favorito lo spostamento della mia cattedra da Roma a Milano. Nel 1988 ho fondato il Cefriel, insieme a Carassa.
Nella mia vita io mi sono occupato di internet. Internet ha avuto un’evoluzione molto semplice. Inizialmente c’è stato l’internet del web, quello che si usa tutte le volte che vengono fatte delle ricerche con il browser; poi c’è stata una seconda fase di internet, che è cominciata all’inizio di questo secolo, che è quella dell’internet dei social networks; infine c’è una terza generazione del web, che è l’internet delle cose, Internet of Things (IoT). Quest’ultima fase consiste in sensori che vengono messi dappertutto per monitorare o misurare varie situazioni, importanti per la meccanizzazione. L’IoT si declina in due applicazioni: l’internet delle cose massive (Massive IoT) e l’internet delle cose Mission Critical (Mission Critical IoT), nel quale c’è in gioco la vita umana. Un esempio di quest’ultima applicazione sono le auto connesse, che consistono in un’unica automobile utilizzata da più persone, poiché grazie all’autoguida si sposta da sola tra i vari luoghi secondo il bisogno dei clienti. L’auto connessa al suo interno deve avere dei sensori che le permettono di girare in sicurezza, senza mettere a repentaglio la salute dei passeggeri o dei pedoni.
L’Internet Mission Critical si affianca alla vita umana, ad esempio ha reso possibile il primo intervento di operazione chirurgica a distanza attraverso un PAD che manda segnali in sala operatoria. In questa
situazione il collegamento immediato è un aspetto di sicurezza veramente importante, infatti il tempo di reazione è nell’ordine dei millisecondi, e la rete permette rapidi segnali di ritorno.
L’internet delle cose massive è tutto ciò che è relativo all’ambiente: può essere impiegato ad esempio per evitare smottamenti, terremoti ed alluvione ed è applicato in tempo reale.
La bassa latenza è fondamentale anche per l’ambito del divertimento. Con Million Entertainment le applicazioni per giocare in rete devono consentire poco ritardo, per permettere un gioco immediato,
Nel 2015 rivolsi il mio interesse ai sistemi cellulari. I bit sono unità elementari di informazione.
I cellulari di prima generazione avevano una capacità di diecimila Bit al secondo. Nel 2010 si è arrivati alla quarta generazione, con capacità di 100 megabit al secondo. Nel 2020 si arriverà a diversi gigabit al secondo.
I bit vengono usati non solo dalla tecnologia radio cellulare, ma anche dalla tecnologia wifi che, coprendo una area più piccola, ha capacità maggiore. Le fibre ottiche hanno capacità di diversi terabyte al secondo.
Nell’internet delle cose massive ci sono intere città tecnologiche: le smart cities.
Il sistema 5G segna una grande rivoluzione ed è molto innovativo, la trasmissione aumenta ed i Data Center sono posti anche a mille km di distanza. Con il Cloud Computing l’hardware non è più proprio di ognuno, viene messo in comune il sistema operativo ed applicativo. In questo senso spingono le grandi aziende: Amazon e Google. Scopo di questo è costruire memorie, immagazzinare ed elaborare informazioni ed infine trasmetterle con la comunicazione. I software nel cloud sono posti anche a mille km di distanza perché la velocita è altissima. Con la virtualizzazione c’è un unico sistema operativo con containers dotati di software contenenti microsistemi facili da gestire, testare e mettere in servizio. Il Development Operation è il grande sistema di orchestrazione che organizza ottimizzando tutte le applicazioni. Abbiamo visto come nel sistema 5G le applicazioni Mission Critical sono veicoli autonomi che permettono la telemedicina e la robotica.
I virus costituiscono un pericolo, infatti i requisiti di cyber security sono altissimi. L’hackeraggio deve essere controllato rigorosamente per non intaccare né la riservatezza né la titolarità dei cosiddetti “data ownership”.
Come descriverebbe la sua attività di docente?
Definisco la mia attività di docente anomala rispetto al percorso di altri. Ho avuto esperienze di diverso genere e in vari luoghi del mondo. Ho lavorato come ricercatore, nell’industria, come Professore Ordinario a Roma, come Direttore del CEFRIEL (Centro di Ricerca e Formazione) e dal 1987 ho collaborato con il professor Carassa. Sono andato in pensione nel 2012. Sono stato commissario dell’AGCOM e Presidente di INFRATEL, società che ha il compito di sviluppare le fibre ottiche delle aree a fallimento di mercato. La fibra ottica è essenziale per l’internet del futuro.
Questi sono i miei riconoscimenti: nel 1997 ho ricevuto il premio della International Communication, lo stesso che Francesco Carassa aveva ricevuto nel 1992. Il professor Carassa per il lavoro fatto nel campo dei satelliti ed io per il mio lavoro all’Istituto Americano degli Ingegneri Elettrici ed Elettronici. Ho anche avuto l’onore di essere il Presidente della Communication Society.
Perché, a suo parere, dovremmo iscriverci alla facoltà di ingegneria?
Fate gli ingegneri perché in Italia ce n’è bisogno: mancano un milione di ingegneri. Gli studi di ingegneria devono esser presi in considerazione anche dalle ragazze: quando lavoravo alla ITALTEL il mio capo era una donna, Marisa Bellisario, amministratore delegato di ITALTEL ed io ero un professore appena rientrato dagli Stati Uniti che lavorava per lei. Le donne sono bravissime nell’ingegneria perché hanno due qualità caratteristiche di chi fa questo lavoro: sono pignole e tignose.
La mancanza di ingegneri era già manifesta ai miei tempi: quando mi sono laureato, nel 1966, ho ricevuto dodici proposte di lavoro. Alla fine, scelsi di fare il borsista perché mio padre voleva che facessi il professore.
Nella mia vita ho fatto anche l’imprenditore: sono andato negli Stati Uniti dove ho imparato le nozioni base di Internet e una volta tornato in Italia ho investito tutti i miei risparmi in una piccola società che si occupava di Internet. Tutti i risparmi che avevo investito nel 2002 si sono moltiplicati per duecento. Ho fondato altre società e qualcuna è anche fallita, però l’importante è fare delle cose. Gli ingegneri fanno le cose.
Avere un’esperienza industriale è molto utile per l’ingegnere. Collaborare con l’industria è fondamentale: contribuisce allo sviluppo della carriera e stabilizza la corrispondenza con la realtà; sviluppa inoltre capacità che non possono essere acquisite in Università, come la capacità di organizzazione, la capacità di rispettare le scadenze, l’abilità di distinguere le cose importanti dalle cose meno importanti. Come diceva Pasteur, la scoperta viene fatta dalle menti preparate: è essenziale il match tra il lavoro in azienda, che ha come scopo realizzare dei prodotti, e la ricerca di base, che ha come scopo la ricerca di algoritmi.
Ho insegnato telecomunicazioni e sicurezza per vent’anni al Politecnico di Milano, ho insegnato come si proteggono le reti. Ad oggi ci sono otto miliardi di telefoni al mondo e sono destinati a diventare sempre di più e sempre più potenti. Le reti dei cellulari parlano tutte tra di loro e questo avviene grazie al sistema misto internet e telefono. L’evoluzione del 5G e del 6G è destinata ad una continua evoluzione nel tempo: dagli anni Novanta al 2020 i ricercatori hanno lavorato molto e bene e sicuramente lavoreranno bene anche dal 2020 al 2040.
Come fa un hacker a entrare in un account?
Ci sono molti tipi di hacker: ci sono hacker che fanno security ad esempio.
Gli hacker devono penetrare un perimetro: ad esempio un’azienda ha un perimetro cibernetico, di cyber security, dove ripone i suoi file e questo perimetro deve essere protetto. L’hacker entra nella rete e comincia ad esplorarne degli aspetti, trova una vulnerabilità, entra nella rete interna e penetra nella rete aziendale. Una volta giunto lì, si impossessa di un terminale e ascolta, poi sottrae le password del gestore della rete e si impadronisce della rete.
Per difendersi è necessario assicurarsi che non ci siano delle vulnerabilità all’interno della rete e prevenire l’attacco dell’hacker: questo si fa con l’intelligenza artificiale.
All’interno di Internet ci sono varie realtà: il 70% di internet è privato, è di Google, Amazon, Facebook, ognuno con le proprie reti fatte di datacenter e fibre ottiche di loro proprietà: questa realtà prende il nome di Private Internet; poi c’è l’Internet pubblico (27%) e il dark web (3%). Nel dark web si entra spesso in modo anonimo e al suo interno succedono le cose più orrende.
In questi ambiti le cose si muovono con una rapidità enorme: Huawei ad esempio è diventata leader mondiale nelle telecomunicazioni in soli 12 anni.
La capacità di garantire privatezza, segretezza e titolarità dei dati è ciò che ad oggi serve per essere assunti: tutte le aziende hanno bisogno di queste tre caratteristiche per proteggere i loro dati.